A cura di Michele Sacchi – of counsel Area Diritto del Lavoro
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Spesso la prosecuzione di un rapporto di lavoro apicale si scontra con particolari esigenze di rendimento oppure risulta disallineata con gli obbiettivi aziendali: cosa fare nel caso in cui si debba far luogo al licenziamento di un dirigente?
In questi casi l’impresa, nella sua veste di datrice di lavoro, deve agire con la massima accortezza al fine di operare una scelta legittima per non incorrere in gravi conseguenze dal punto di vista economico.
Inapplicabilità delle norme su giusta causa e giustificato motivo
In prima battuta è opportuno ricordare come il licenziamento del dirigente, escluse eventuali questioni di carattere disciplinare, non segue le consuete norme che tutelano la stabilità del rapporto di lavoro di operai, impiegati e “quadri”. Non si applicano quindi le tutele previste dall’art. 18 dello “Statuto dei Lavoratori” o dalla L.n. 604/1966 con riferimento al giustificato motivo.
Il datore di lavoro che voglia interrompere il rapporto con uno dei propri dirigenti non è pertanto tenuto necessariamente a dimostrare l’esistenza di specifiche ragioni correlate all’organizzazione del lavoro, al funzionamento regolare dell’organizzazione aziendale e all’attività produttiva.
Tuttavia, ciò non significa però che il dirigente che non rientri più nei piani aziendali possa essere escluso dalla compagine lavorativa per una ragione qualsiasi: nemmeno in questo ambito il recesso è infatti del tutto “libero”.
Il requisito minimo della “giustificatezza”
Il dirigente è legittimamente licenziabile qualora sia perlomeno presente il requisito della “giustificatezza”: ovvero quando il licenziamento sia fondato su ragioni giuridicamente apprezzabili.
Risulta così legittimo il licenziamento del dirigente qualora si dimostri l’esistenza di un contrasto perdurante con la proprietà aziendale, oppure quando il dirigente si rifiuti di perseguire una determinata politica societaria. Un altro esempio è quello del mancato raggiungimento di obbiettivi oggettivamente valutabili, come ad esempio, il volume di vendite o il mantenimento di un certo livello di fatturato. Per contro, il licenziamento del dirigente è ingiustificato quando sia del tutto arbitrario, irrazionale o pretestuoso.
Il concetto di giustificatezza si basa quindi sul principio di buona fede “rafforzato” e sul particolare rapporto di fiducia che si instaura tra il dirigente e il datore di lavoro. Il rapporto di lavoro dirigenziale, com’è noto, va oltre l’adempimento degli obblighi contrattuali e la fiducia ordinaria, propri dei comuni rapporti di lavoro: alla maggior forza del vincolo fiduciario tra le parti si contrappone la minore intensità delle ragioni alla base del recesso.
Il licenziamento illegittimo e le sue conseguenze
Nel caso in cui manchi però questo minimo requisito rappresentato dalla giustificatezza, il licenziamento risulta illegittimo: in tale caso il dirigente licenziato ha diritto a ricevere un’indennità supplementare, come stabilita dai singoli Contratti Collettivi Nazionali Lavoro. Si tratta di una indennità di carattere risarcitorio. La misura di questa indennità è fissata dalla contrattazione collettiva tra un minimo e un massimo correlato all’anzianità di servizio e all’anagrafica e, in certe circostanze, arriva a superare le 24 mensilità.
I colleghi laburisti del dipartimento di Diritto del Lavoro di Bacciardi Partners sono disponibili a guidare il datore di lavoro lungo questo delicato percorso, fornendo la soluzione più adatta in base ai tempi e alle circostanze, al fine di evitare conseguenze economiche gravose.